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Ente pubblico e risarcimento del danno non patrimoniale

12933bd9-3a64-4719-95fd-76aae09d4612In occasione dell’anniversario della frana del Vajont avvenuta in data 9 ottobre 1963 riportiamo la parte dell’arringa pronunciata dall’avvocato Odoardo Ascari riguardante il diritto al risarcimento del danno da parte del Comune di Longarone.

“Il problema se un Ente pubblico possa chiedere il risarcimento di un danno non patrimoniale a lui derivante da reato, è stato trattato diffusamente nei motivi di appello da me presentati nell’interesse del Comune stesso. Riassumendo ora brevemente i termini della questione, basterà ricordare che essa è stata affrontata con la consueta lucidità dal Manzini, il quale riconobbe – e l’affermazione è ripetuta anche nell’edizione del “Trattato” del 1962 – che si deve ammettere che la Pubblica Amministrazione come Ente possa tutelare il suo normale funzionamento e la sua organizzazione, compromessi dagli illeciti penali. Una vecchia sentenza del 1935 afferma che non può, in tesi, disconoscersi alla Pubblica Amministrazione il diritto al risarcimento del danno, pur riservando di decidere e stabilire caso per caso, quali danni debbano giudicarsi risarcibili ed in quale misura.

In dottrina, dopo che la Corte Suprema, con una sentenza del 1964, aveva ribadito questo principio, il De Cupis ha osservato che, mentre la dottrina francese parla di “danno morale” (dommage moral) la locuzione del nostro codice “danno non patrimoniale”, testimonia la volontà del legislatore di ricomprendere in tale denominazione una vastissima categoria di interessi. Se il normale funzionamento dell’Ente pubblico e la sua organizzazione sono tutelati, sotto l’aspetto del danno non patrimoniale, non può revocarsi in dubbio che il Comune di Longarone abbia subìto in fatto, come diretta conseguenza del consumato reato di omicidio colposo plurimo, un danno gravissimo ed evidente.

Si pensi ad un comune con quattromila abitanti circa, che ne perde la metà in qualche minuto. I danni non sono limitati alla constatazione che la scuola, le strade, la chiesa sono distrutte: è il Comune stesso che ha subìto direttamente, dal fatto delittuoso, un declassamento che lo pone in una dimensione giuridica diversa da quella in cui prima si trovava, e, soprattutto, ne sconvolge la vita organizzata.

Per negare un siffatto assunto, la sentenza del Tribunale dell’Aquila afferma che, nella specie, sarebbero configurabili solo danni indiretti: vi sarebbero, cioè, dei contribuenti uccisi il cui gettito tributario è venuto a mancare al Comune. Ma ponendo il problema in chiave tributaria si perde di vista la sua essenza. Non è questione di contribuenti uccisi, ma del declassamento dell’Ente, dello sconvolgimento della sua organizzazione, del mutamento violento della sua dimensione giuridica.

Affermano ancora i primi giudici che, così argomentando, ogni volta che lo Stato od un Comune perdono un cittadino, essi avrebbero diritto ad un risarcimento. Ma non è così. Consentiamo con l’affermazione del Tribunale che è difficile, in qualche caso, cogliere il punto discretivo al di là del quale il danno è configurabile: ma la difficoltà di applicazione pratica di un principio non può mai tradursi in una conseguente difficoltà concettuale della sua affermazione.

Venendo alle obiezioni del Tribunale, basterà osservare che la morte di una persona rientra in quella che i greci chiamavano necessità: “noi, simili alle foglie …”: tornano alla memoria i classici, nella loro purezza incontaminata. Ma altro è la morte di un cittadino o di un piccolo gruppo, che non influisce sulla vita organizzata, che non declassa l’Ente pubblico, che non lo ferisce a morte: è la morte di metà dei suoi cittadini che lo colpisce in un minuto non come Comune, ma come Ente, sconvolgendone l’organizzazione. Questi sono i danni diretti, non il mancato gettito del contribuente ucciso.

Quanto amara mi è parsa questa frase! Noi non veniamo qui, a nome del Comune di Longarone, a chiedere il risarcimento dei danni conseguenti al fatto che, se i morti tali non fossero, avrebbero pagato le tasse e le imposte. E’ un travisamento, prima ancora che giuridico, morale dei fatti: esso è la conseguenza della impossibilità, che pervade tutta la sentenza, di cogliere l’essenza di questa causa, di andare al fondo e al cuore delle cose.

Ecco perchè di questi motivi di appello, che possono avere una qualche utilità per la decisione, rassegno una copia ai menbri della Corte, sia alla destra, che alla mia sinistra, ponendomi così in una situazione che vorrei definire crociana”.

Inammissibilità prova testimoniale

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Ai sensi degli artt. 2722 c.c., la prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea. Ciò ad eccezione del caso in cui, come previsto dal successivo art. 2723 c.c., dopo la formazione di un documento, sia stato stipulato un patto aggiunto o contrario al contenuto di esso, e, avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura del contratto e a ogni altra circostanza, appaia verosimile che siano state fatte aggiunte o modificazioni verbali.

L’art. 2724 c.c. prevede inoltre che la prova per testimoni sia ammessa in ogni caso:

1) quando vi è un principio di prova per iscritto: questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda (o dal suo rappresentante), che faccia apparire verosimile il fatto allegato;

2) quando il contraente è stato nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta;

3) quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova.

L’art. 2725 c.c., infine, prevede che, quando, secondo la legge o la volontà delle parti, un contratto deve essere provato per iscritto, la prova per testimoni è ammessa soltanto nel caso indicato dal n. 3) dell’articolo precedente. La stessa regola si applica nei casi in cui la forma scritta è richiesta sotto pena di nullità

Sul punto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 16723/2020, hanno rilevato come “l’inammissibilità della prova testimoniale di un contratto che deve essere provato per iscritto, ai sensi dell’art. 2725, comma 1, c.c., attenendo alla tutela processuale di interessi privati, non possa essere rilevata d’ufficio, ma debba essere eccepita dalla parte interessata prima dell’ammissione del mezzo istruttorio; qualora, nonostante l’eccezione di inammissibilità, la prova sia stata ugualmente assunta, è onere della parte interessata opporne la nullità secondo le modalità dettate dall’art. 157, comma 2, c.p.c., rimanendo altrimenti la stessa ritualmente acquisita, senza che detta nullità possa più essere fatta valere in sede di impugnazione”.

Applicazione dell’IVA su contributi comunali a favore di ASD

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L’erogazione di un contributo in denaro da parte di un ente locale in favore di un’associazione sportiva dilettantistica, quale gestore di un impianto sportivo di proprietà comunale, non è soggetto ad imposta qualora, alla luce della convenzione intervenuta tra le parti, non costituisca un corrispettivo per la prestazione dei servizi offerti all’utenza dall’associazione, ma costituisca una forma di sovvenzione gratuita, volta a contribuire alle spese gestionali dell’impianto sportivo. La Cassazione ha escluso l’applicazione dell’IVA alle corresponsioni di denaro, “se sussiste un rapporto di scambio, per cui alla pubblica amministrazione deriva un vantaggio diretto ed esclusivo dal comportamento richiesto dal privato, ovvero quando la convenzione che regola i rapporti tra le parti preveda clausole risolutive o penalità per inadempienze del beneficiario delle somme. […] Anche l’assenza di tali clausole, tuttavia, non necessariamente comporta che si sia in presenza di una erogazione non corrispettiva, atteso che l’attività finanziata può comunque concretizzare un’obbligazione il cui inadempimento darebbe luogo ad una responsabilità contrattuale”.

 Così anche le circolari dell’Agenzia delle Entrate nn. 34/E/2013 e 20/E/2015, secondo cui “l’applicazione dell’IVA ad una determinata operazione presuppone l’esistenza di un nesso di reciprocità fra le prestazioni (in senso lato) dedotta nel rapporto che lega le parti (pubbliche o private). Ove sussista il predetto nesso, la prestazione di denaro si qualifica come corrispettivo e l’operazione dovrà essere regolarmente assoggettata ad imposta. Diversamente, […] le erogazioni di denaro si qualificano come contributi […], e, in quanto tali, saranno escluse dall’ambito di applicazione dell’imposta”.

Responsabilità per infortunio del praticante un’attività sportiva

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In tema di risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un infortunio calcistico verificatosi presso il campo da gioco a seguito di una caduta, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 7172/2022, ha statuito che l’art. 2051 c.c., nell’affermare che “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia”, individua semplicemente un criterio di imputazione che prescinde da qualunque connotato di colpa, essendo sufficiente la semplice connessione tra la cosa e l’evento dannoso. Ciò, tuttavia, non esonera il danneggiato dalla prova di tale connessione.

In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha respinto il ricorso in appello dello sportivo, negando il diritto dello stesso ad ottenere il risarcimento del danno subito, in quanto non ha dimostrato che la caduta fosse stata causata dalle precarie condizioni del campo da gioco.

 Novità in tema di IVA per le associazioni

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L’art. 5 del D.L. n. 146/2021 è intervenuto a modificare il regime fiscale ai fini dell’IVA delle attività delle associazioni, che da escluse (o fuori campo) IVA sono divenute esenti; ciò anche per le associazioni che non svolgono attività commerciale (e sia per le cessioni di beni, sia per le prestazioni di servizi).

La modifica legislativa non è priva di conseguenze. Le operazioni “fuori campo IVA” o “escluse” non hanno infatti alcun rilievo ai fini dell’applicazione dell’imposta: non comportano né il sorgere del debito d’imposta, né obblighi formali, e non incidono sul diritto di detrazione; mentre le operazioni esenti, pur non facendo sorgere l’obbligo di versare l’imposta, da un lato, comportano gli stessi adempimenti formali delle operazioni imponibili (devono essere fatturate e registrate, devono essere incluse nel calcolo del “volume d’affari”, ecc.), e, dall’altro, limitano il diritto di detrazione.

Nel dicembre 2021, è tuttavia intervenuta la L. n. 234/2021, che ha prorogato l’entrata in vigore di tale modifica al 1° gennaio 2024.

Entrata in vigore della riforma dello sport

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L’art. 10, comma 13-quater, del D.L. n. 73/2021 (c.d. Decreto Sostegni-bis), convertito, con modificazioni, in L. n. 106/2021, ha modificato ulteriormente le date di effettiva entrata in vigore della riforma dello sport, con la conseguenza che:

- le norme contenute nel D.Lgs. 28 febbraio 2021, n. 36, recante riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo, saranno applicabili a partire dal 1° gennaio 2023, ad eccezione degli articoli 10, 39 e 40 (rubricati, rispettivamente, “riconoscimento ai fini sportivi”, “fondo per il passaggio al professionismo e l’estensione delle tutele sul lavoro negli sports femminili” e “promozione della parità di genere”), nonché l’intero titolo VI, in tema di accesso delle persone con disabilità nei corpi militari e di Stato, che sono già in vigore dal 1° gennaio 2022;

- le norme contenute nei D.lgs. 28 febbraio 2021, nn. 37 e 38, in materia, rispettivamente, di rapporti di rappresentanza degli atleti e delle società sportive e di accesso ed esercizio della professione di agente sportivo, saranno applicabili a partire dal 1° agosto 2023;

- le norme contenute nel D.lgs. 28 febbraio 2021, n. 39, recante semplificazione di adempimenti relativi agli organismi sportivi, saranno applicabili a partire dal 31 agosto 2022;

- infine, le norme contenute nel D.lgs. 28 febbraio 2021, n. 40, in tema di sicurezza nelle discipline sportive invernali, sono applicabili dal 1° gennaio 2022.

Registro volontari Enti del Terzo Settore

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Ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117, “gli enti del Terzo settore possono avvalersi di volontari nello svolgimento delle proprie attività e sono tenuti a iscrivere in un apposito registro i volontari che svolgono la loro attività in modo non occasionale”.  L’art. 3 del D.M. 06/10/2021 prevede che gli enti del Terzo settore debbano predisporre “un registro dei volontari non occasionali e ne garantiscono la tenuta. Al fine di garantirne l’operatività, il registro, prima di essere posto in uso, deve essere numerato progressivamente in ogni pagina e bollato in ogni foglio da un notaio o da un pubblico ufficiale a ciò abilitato, che dichiara nell’ultima pagina il numero dei fogli che lo compongono. Gli enti medesimi possono istituire un’apposita sezione separata del registro, ove sono iscritti coloro che prestano attività di volontariato in modo occasionale. In alternativa, “gli enti possono avvalersi di registri tenuti con sistemi elettronici e/o telematici qualora gli stessi assicurino l’inalterabilità delle scritture e la data in cui le stesse sono apposte”; ciò anche avvalendosi di sistemi elettronici e/o telematici messi a disposizione dalle reti associative di cui all’art. 41 del D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117, cui aderiscono.

Nel registro dei volontari “l’ente del Terzo settore indica, per ciascun volontario:

a) il codice fiscale o, in alternativa, le generalità, il  luogo e la data di nascita;

b)  la  residenza  o,  in  alternativa,  il  domicilio  ove   non coincidente;

c) la data di inizio e quella di cessazione dell’attività di volontariato presso l’organizzazione, che corrisponde alla data di iscrizione e cancellazione nel registro”.

Esenzione contributiva compensi erogati ai collaboratori ex art. 67 TUIR

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Con la sentenza n. 2001/2022 (e numerose altre, tutte conformi tra loro, emesse a partire dal dicembre 2021), la Corte di Cassazione ha affermato che le somme corrisposte ai collaboratori sportivi ex art. 67, comma 1, lett. m), TUIR, se corrisposte nel limite di € 10.000,00 per ciascun periodo d’imposta, sono esenti dall’obbligo contributivo previdenziale, a condizione che chi invoca l’esenzione dimostri che:

- le prestazioni rese non siano corrisposte in relazione all’attività di offerta del servizio sportivo svolta da lavoratori autonomi o da imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente assunta dal prestatore;

- tali prestazioni siano rese in favore di associazioni o società che non solo risultano qualificate come dilettantistiche, ma che in concreto posseggono tale requisito di natura sostanziale, ossia svolgono effettivamente l’attività senza fine di lucro e, quindi, operano concretamente in modo conforme a quanto indicato nelle clausole dell’atto costitutivo e dello statuto, il cui onere probatorio ricade sulla parte contribuente, e non può ritenersi soddisfatto dal solo dato dell’affiliazione ad una federazione sportiva o al CONI;

- le prestazioni siano rese nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche e cioè che siano rese in ragione del vincolo associativo esistente tra il prestatore e l’associazione o la società;

- il soggetto che rende la prestazione e riceve il compenso non svolga tale attività con carattere di professionalità e cioè in corrispondenza all’arte o professione abitualmente esercitata anche se in modo non esclusivo.

Proprietà comune tra coniugi di strumenti finanziari acquistati in costanza di matrimonio

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La Corte di Cassazione, con sentenza 01/09/2020, n. 18156, ha definito la lite fra due ex coniugi relativa alla proprietà comune di strumenti finanziari acquistati in costanza di matrimonio, in regime di comunione legale, ed alienati da uno solo di essi.

I giudici di primo e secondo grado avevano riconosciuto il diritto della moglie a vedersi corrisposta la metà del ricavato derivante dalla vendita degli strumenti finanziari operata dal marito, il quale aveva sostenuto il carattere personale dell’acquisto, in quanto operato con capitali propri.

La Suprema Corte, conformemente a quanto ritenuto dai giudici di merito, ha ritenuto che l’acquisto di strumenti finanziari da parte di uno solo dei coniugi, in regime di comunione legale, determini l’assoggettamento degli stessi al regime della comunione legale dei beni. Di conseguenza, la vendita di tali strumenti determina la sottoposizione del denaro incassato al medesimo regime. Se tale vendita avviene senza il consenso dell’altro coniuge, quest’ultimo non può invalidarla, ma può comunque pretendere che l’intero prezzo derivante dalla stessa entri a far parte della comunione legale.

Se, nel frattempo, a causa della separazione dei coniugi, cessa la comunione legale, i beni già appartenenti al regime della comunione legale vengono assoggettati a un regime di comunione ordinaria tra gli ex coniugi, in attesa di essere oggetto di un’eventuale divisione tra essi. Questo è quanto affermato dalla Cassazione, per la quale, nel caso di specie, l’ex marito è tenuto a corrispondere alla ex moglie la metà del ricavato derivante dalla vendita dei titoli operata dallo stesso in costanza di matrimonio in regime di comunione legale, a nulla rilevando la separazione nel frattempo intervenuta.

Servitù di passaggio

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Il proprietario il cui fondo è circondato da fondi altrui, e che non ha uscita sulla via pubblica né può procurarsela senza eccessivo dispendio e disagio, ha diritto di ottenere il passaggio sul fondo vicino. Analogo diritto è concesso anche nel caso in cui il proprietario abbia un accesso alla via pubblica ma questo sia inadatto o insufficiente. In tali casi, ai sensi dell’art. 1053 c.c., è dovuta al proprietario del fondo servente un’indennità proporzionata al danno cagionato dal passaggio. Il diritto a tale indennità, in conseguenza dell’adozione di una pronuncia costitutiva di servitù di passaggio coattivo, ha natura di diritto di credito (rappresentando un indennizzo risarcitorio da ragguagliare al danno cagionato al fondo servente, Cass. 10269/2016).

La Corte di Cassazione ha stabilito che la decisione (relativa all’indennità ex art. 1053 c.c.) emanata nei confronti della parte originaria fa stato ed è eseguibile nei riguardi del successore a titolo particolare, a prescindere dal momento in cui avvenne la trascrizione del titolo di acquisto ad opera di quest’ultimo (Cass. 9543/2018).